Inserito16 ottobre 2019 nelConsiglidiLaura Videtta
L’alimentazione idonea alla natura dei carnivori domestici deve rispettare le loro esigenze innate. Occorre ricalcare, per quanto possibile, le quantità e i rapporti dei nutrienti apportati dalle prede, garantendo tuttavia la salubrità igienico-sanitaria garantita dal trattamento termico. Solo la cottura al cuore del prodotto infatti abbatte la carica batterica, parassitaria e virale, scongiurando la trasmissione di questi patogeni agli animali e all’uomo.
I cereali costituiscono la fonte primaria di carboidrati alimentari, grazie all’elevato contenuto in amido e sono ampiamente utilizzati per la produzione di pet food perché costituiscono una fonte economica e facilmente disponibile. Recentemente, però, la tendenza di molte aziende produttrici è stata quella di sostituire i cereali con altre fonti alimentari di amidi (ad es. patata, tapioca) o di eliminarli in toto, come è accaduto nella linea Virtus patè gatto (“0% grain”). Ricerche hanno dimostrato che, nel gatto, la fonte di amido alimentare influenza la glicemia e l’insulinemia postprandiale. Questa risposta glicemica, che si esprime con un aumento della glicemia dopo il pasto, appare prolungata nel gatto rispetto al cane e all’uomo. La tipica risposta glicemica nella maggior parte degli animali dura da 4 a 6 ore, prima che la glicemia torni ai valori basali, ma nel gatto questo processo può richiedere fino a 18 ore, a seconda della fonte alimentare di amido.
Le diete a base di riso e sorgo producono una risposta glicemica precoce, mentre la risposta risulta più lenta con diete a base di grano e orzo. Tale risposta si riflette in un significativo rilascio di glucosio postprandiale, in un picco glicemico ritardato e in un suo rapido declino. L’alimentazione a base di mais produce invece una risposta glicemica intermedia. La digestione e l’utilizzo delle fonti alimentari di amido nel gatto sono altamente dipendenti in base al tipo di amido somministrato.
Il gatto domestico, al pari del cane, appartiene all’ordine dei Carnivori. Questo implica che la sua principale fonte alimentare sia costituita da tessuti animali. Tuttavia, la comparazione delle esigenze nutrizionali, delle caratteristiche anatomiche e degli adattamenti metabolici di queste due specie mostrano che esse si siano evolute in maniera diversa. Durante lo sviluppo evolutivo, il gatto è rimasto un carnivoro stretto, mentre il cane ha sviluppato abitudini alimentari più simili a quelle degli onnivori.
Come l’uomo infatti, il cane può utilizzare efficacemente componenti alimentari sia di origine animale sia di origine vegetale, mentre il gatto è altamente dipendente dai tessuti animali per il soddisfacimento di specifiche esigenze nutrizionali. Si tende a considerare il gatto domestico (Felis catus) come un discendente del gatto selvatico africano, Felis silvestris libica, che si nutre prevalentemente di piccoli roditori delle dimensioni di un topo di campo, consumandole più volte durante il giorno. L’addomesticamento è avvenuto circa 10.000 anni fa. Il gatto si definisce carnivoro stretto o supercarnivoro per il suo metabolismo strettamente dipendente da alte percentuali di proteine e grassi. Possiede una raffinata sensibilità organolettica, è estremamente esigente alla forma fisica, odore e temperatura del cibo. Il gatto selvatico, a differenza del lupo, è un cacciatore solitario.
L’istinto venatorio è innato e i gatti si allenano fin dalla giovane età, imparando a cacciare dalla madre che segue un preciso programma venatorio per i suoi piccoli. L’intera cavità orale del gatto è indicativa della sua natura strettamente carnivora: possiede denti canini appuntiti e perforanti, due paia di denti ferini taglienti, sono assenti denti trituratori tipici degli animali erbivori, l’apertura boccale è adattata a strappare i tessuti e la lingua ruvida è atta ad asportare la carne dalle ossa. Il breve tratto intestinale felino indica che la digestione deve essere rapida ed efficace, al fine di liberare i nutrienti assorbibili.
Per questo motivo, la dieta del gatto deve essere concentrata e altamente digeribile. La preda d’elezione* cacciata dal gatto ferale possiede questi valori nutrizionali:
*dati relativi al topo di campagna.
In mancanza della preda viva (alimentazione naturale), ci si può avvicinare il più possibile con un alimento industriale umido completo senza carboidrati (Virtus patè): le caratteristiche nutrizionali, la consistenza, la forma fisica, le caratteristiche organolettiche, la percentuale di umidità (che permette il raggiungimento del fabbisogno idrico giornaliero) risultano assolutamente idonee, rispecchiando alla perfezione l’alimento naturale. A differenza del cane, Il gatto non è mai stato foraggiato dall’uomo: ha mantenuto la sua autonomia alimentare senza dover modificare il suo assetto enzimatico per adattarsi a cibi umani. I processi digestivi del gatto sono rimasti identici a quelli del suo predecessore selvatico. L’evoluzione non ha mai pressato il gatto verso il cambiamento (cosa che invece è avvenuta per il cane) di conseguenza si distingue per una scarsissima competenza nel digerire i carboidrati, una carenza di recettori gustativi per assaporare il gusto dolce, un apprezzamento dell’alimento sempre nuovo e diverso (neofilia) in quanto soltanto la varietà alimentare gli permette di assumere a rotazione tutti i nutrienti che non riesce ad autoprodursi (taurina, arginina, acido arachidonico, vitamina A, niacina). Benché il gatto abbia comunque in parte la capacità di utilizzare alimenti di origine vegetale inclusi comunemente nelle diete industriali, il suo metabolismo è specificamente programmato per soddisfare efficacemente tutte le sue specifiche esigenze alimentari con principi nutritivi forniti dai tessuti di origine animali. La capacità del gatto di metabolizzare il glucosio e altre fonti energetiche diverse dai carboidrati è notevolmente diversa rispetto alle altre specie animali e riflette la dipendenza da una dieta animale a elevato contenuto proteico e scarso di carboidrati. Oggi, la corretta nutrizione del gatto domestico, deve considerare le peculiarità evolutive, anatomiche e biochimiche della specie felina. Il gatto deve infatti essere nutrito da carnivoro stretto, poiché molti dei nutrienti specifici necessari al suo metabolismo basale sono contenuti esclusivamente nei tessuti animali e non nei prodotti di origine vegetali.
I più antichi scheletri di cane sono stati rinvenuti vicini ai resti di ossa umane e, proprio per questa ragione, i cani hanno meritato il nome di Canis familiaris. La domesticazione è avvenuta almeno 40.000 anni fa ed è noto che il cane domestico discenda da un canide selvatico preesistente. Tra questi potenziali ascendenti troviamo il lupo (Canis lupus), lo sciacallo (Canis aureus) e il coyote (Canis latrans). Studi scientifici hanno permesso di poter definire che il lupo grigio è stato l’antenato dell’attuale cane domestico, infatti, i geni del lupo e quelli del cane differiscono solo dello 0,2%, inoltre, in Cina, luogo in cui sono stati scoperti i più antichi resti di cani, non sono mai stati ritrovati né sciacalli né coyote. Un luogo comune molto diffuso consiste nell’affermare che il cane discenda direttamente dal lupo, ma in realtà il sequenziamento dei due genomi ci ha indicato che il passaggio non è stato diretto.
Il lupo vive e caccia in branchi gerarchizzati. La sua alimentazione non è costituita da sola carne. Consuma ciò che è disponibile nell’habitat: piccoli mammiferi, ungulati, carogne, feci di erbivori (fonte di fibre parzialmente digerite), bacche e frutta (assunte per lenire la fame). Dopo la cattura, la preda viene divorata seguendo un preciso ordine: inizialmente le attenzioni sono rivolte alle cavità interne e ai visceri (fegato, cuore, polmoni, milza, stomaco, intestino, reni), poi si passa ai quarti posteriori, collo e carcassa, lasciando per ultime la colonna e la testa.
L’olfatto è un senso fondamentale nell’assunzione dell’alimento: il cibo viene annusato per valutarne l’odore e la temperatura (ideale 38-39°C). L’olfatto dei carnivori è enormemente più sviluppato rispetto a quello umano (nel cane si contano fino a 220 milioni di cellule olfattive mentre nell’uomo fino ad un massimo di 10 milioni) e l’acuità olfattiva aumenta all’aumentare della fame. I lupi mangiano molto rapidamente, limitando la masticazione al minimo. L’assunzione dell’alimento è molto rapida (da 1 a 5 minuti) soprattutto se paragonata a quella umana (da 30 minuti ad 1 ora). Lo stomaco è notevolmente dilatabile per permettere di accumulare fino a 10 kg di cibo, in attesa della futura possibilità di reperire nuovo cibo, in quanto l’accesso alle risorse è un evento occasionale.
Nel Neolitico, l’uomo, avendo gradualmente ridotto la caccia, si è lentamente trasformato in agricoltore sedentario. In questo processo evolutivo umano la figura del cane è stata basilare. Subendo il cambiamento rivoluzionario di stile di vita, il cane si è adattato, diventando un animale spazzino e perdendo progressivamente la propria attitudine alla caccia e la propria autonomia alimentare. Per queste sue peculiari abitudini il cane si definisce carnivoro opportunista. Nel corso dei secoli, essendosi alimentato degli scarti dell’alimentazione umana (prevalentemente cereali), il cane si è parzialmente adattato a digerire gli amidi cotti, passando alla prole, di generazione in generazione, un corredo genomico in grado di produrre nuovi enzimi che il lupo non possedeva, si tratta delle amilasi pancreatiche. Attualmente sappiamo che tale corredo enzimatico è molto variabile da razza a razza: il Saluki ha sviluppato 29 coppie di geni per la digestione degli amidi, il Siberian Husky ne ha 3, mentre il lupo ne ha solamente 1.